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Il Campo di internamento “Le Fraschette” di Alatri

Il campo di concentramento Le Fraschette entrò ufficialmente in funzione il 1° ottobre 1942 per perseguire, attraverso un massiccio trasferimento di popolazione, una "bonifica etnica". Arrivò ad ospitare fino a 5500 internati, tra cui molti bambini ed anziani, i quali, vissero in condizioni disagiate a causa della carenza di cibo, medicinali e vestiario. I primi ad arrivare furono gli anglo-maltesi residenti in Libia, poi iniziò il trasferimento di civili provenienti dalla Venezia Giulia, dalla Slovenia, dalla Dalmazia e dalla Croazia. A questi si aggiunsero alcune centinaia di confinati politici. Gli internati arrivarono a Le Fraschette con le poche cose che erano riusciti a portare con sé, pochi bagagli a mano presi all’ultimo istante dalle proprie abitazioni durante le concitate fasi del rastrellamento effettuato dalla polizia militare italiana. Subito dopo la fine della guerra, il Campo fu interamente ricostruito e venne utilizzato per l’internamento degli “stranieri indesiderabili”. Il governo italiano aveva disposto l’identificazione e l’internamento dei profughi “indesiderabili”: criminali di guerra, criminali comuni, collaborazionisti, ustascia, ecc.. Tale fatto comportò che spesso si trovarono ad essere discriminati anche esuli istriani, stranieri senza documenti, rifugiati d’oltrecortina ai quali non era stato riconosciuto lo status di rifugiato politico. Dagli anni ’60 inizia l’ultima parte della storia del Campo Le Fraschette. Una storia che è legata alla fine del colonialismo, quando nazioni come l’Egitto, la Tunisia e poi la Libia decretarono nazionalizzazioni ed espulsioni degli immigrati europei. Questa sorte toccò, ovviamente, anche a molti nostri connazionali che vennero ospitati nel Centro Raccolta Profughi di Alatri.
Fu in questo periodo, infatti, che il Campo Le Fraschette entrò nella sua “terza fase”: i capannoni furono ristrutturati e resi più fruibili, pronti ad ospitare gli italiani che vennero rimpatriati, ad ondate, per un decennio almeno. Chiuse ufficialmente con un decreto della regione nel 1976 e da allora... (grazie Marilinda Figliozzi). Ebbene questo luogo della memoria collettiva, degli orrori dello scorso secolo, ampiamente documentato da Marilinda Figliozzi, sta letteralmente scomparendo. I nostri giovani, fatte le dovute proporzioni, una Auschwiz da visitare ce l'anno dentro casa e guardate come la abbiamo ridotta; vergogna!
giuliano.fabi@vitaciociara.it
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Il cimitero napoleonico di Fontechiari

Ricorre in questi giorni il 220° anniversario dell’editto napoleonico di Saint Claud. Da noi l’unica applicazione visibile di quell’editto è il cimitero napoleonico di Fontechiari costruito in applicazione di una delle tante leggi che segnarono per la nostra terra il passaggio verso la modernità. La bellissima costruzione è giunta a noi così come fu realizzata circa duecento anni fa, senza alcun ulteriore intervento: l'editto di Saint Claud è del 12 giugno 1804. In Italia fu recepito il 5 settembre 1806 e il primo progetto per la sua realizzazione a Fontechiari è del 1817, due anni dopo la cacciata dei francesi. Un primo progetto fu proposto dall'architetto Bottiglieri di Sora, dopo alterne vicende, decisioni e lavori a rilento, la costruzione fu terminata nel 1834. Lo schema è ripreso da costruzioni simili realizzate a Verona e a Parigi, ma non più esistenti perchè inglobate in opere successive. Costruito su una grotta carsica, sottovento, in forma circolare in modo che la mummificazione avvenisse in fretta e senza ristagno di gas di putrefazione; furono realizzate tre fosse comuni, mentre nel perimetro, alle famiglie benestanti fu consentita la costruzione di cappelle private e la cappella centrale fu riservata al clero. Insomma una interpretazione all'italiana dell'editto: fosse comuni per i poveracci e cappelle per i ricchi in barba all'editto che prevedeva sepolture uguali per tutti e nomi sulle pareti senza distinsione di censo. L'opera, anche per ciò che rappresenta storicamente è unica al mon-do e uno dei monumenti più im- portanti della nostra provincia. Come si sa il Foscolo nel carme "I Sepolcri" si scagliò contro l'editto ritenedo non giusto trattare così chi aveva dato lustro alla patria.
giulianofabi@vitaciociara.it
Il 25 aprile a noi piace ricordarlo con un martire della nostra terra

Ottantanni anni fa qui fummo retrovia di un fronte di guerra con tutte le sofferenze che per i nostri genitori comportò, ma nonostante l'asfissiante controllo dei tedeschi non mancarono esempi di coraggio. GIUSEPPE TESTA, medaglia d'oro al valor militare. Catturato dai tedeschi il 21 marzo 1944 fu portato in via Mandrone a Broccostella. Qui interrogato e torturato a lungo, rifiutò ogni collaborazione. Trasportato ad Alvito, fu fucilato l'11 maggio 44, a pochi giorni dalla libera . Il Testa impegnato nella resistenza era già fuggito ad una prima cattura, a Monterotondo, nei pressi di Roma e si era rifugiato nel suo paese natale, Morrea, dove aveva dato vita ad un comitato denominato "Patrioti della Marsica" attivo nel nascondere e dare assistenza a soldati sbandati e ai prigionieri stranieri, fuggiti dai campi di prigionia. Un ufficiale tedesco si infiltrò nella banda fingendosi ufficiale medico inglese, e riuscì a farlo catturare insieme a due commilitoni. I due furono liberati ma per lui, essendoci precedenti, non ci fu scampo. Il corpo fu rimosso per umana pietà, dal luogo del supplizio dal carrettiere Francesco Brusca. Questi, ignorando che i tedeschi avevano dato l'ordine di lasciare il corpo esposto, come monito per la popolazione, lo aveva rimosso e trasportato al cimitero. Ma non erano certo tempi di umana pietà e anche il Brusca fu arrestato e rischiò la fucilazione. Lo salvò il segretario locale del fascio, ben introdotto con i tedeschi, che consigliò il parroco, Don Crescenzo Forte di riferire di aver ordinato lui la sepoltura non conoscendo gli ordini. Ambedue rischiarono in proprio ma il Brusca fu salvo.
giuliano.fabi@vitaciociara.it